È proprio strano a volte come il susseguirsi degli eventi ti porti in luoghi che mai avevi pensato e in situazioni totalmente impreviste. Ed è forse proprio questo il bello del viaggio, l’essenza dell’esplorazione, non sapere che cosa ti aspetta e riuscire ad assaporare tutto quello che accade come parte di un’avventura che ti guida sempre verso nuove mete.
Qualche giorno fa tornavamo a Tuxtla parecchio demoralizzati per l’anticipato ritiro dalle montagne di Cardenas, la spedizione non poteva continuare laggiù, e poche effettivamente sembravano anche le possibilità di spostare tutta la gente in altri luoghi, riorganizzare una logistica complessa e programmare un lavoro speleologico sensato altrove. Domenica pomeriggio, attraversando con le barche l’impressionante Canyon del Sumidero ci eravamo nuovamente galvanizzati.
Le grandi risorgenze in parete significavano che dentro quelle montagne c’erano sistemi ancora sconosciuti e la Cueva del Puercoespin, dove ci aveva invitato Mauricio Nafate e il suo gruppo speleo dei Jaguares, stava proprio là sopra ad attendere di essere esplorata. Non era scontato andarci, tanto che la sera ci rendiamo conto che non abbiamo autorizzazioni, né macchine per spostarci, e che il tempo stringe… Decidiamo di salire il lunedì mattina io e Gianni per parlare col commissario della colonia locale, ma non abbiamo certezze. Così, giustamente, con tutte queste incognite, alcuni partecipanti della spedizione decidono di non rischiare di perdere altri giorni in snervanti attese e di partire per San Cristobal a godersi un po’ di turismo. Decisi di andare in grotta restiamo invece in undici, comunque molto preoccupati di prenderci un’altra fregatura.
Lunedì mattina la svolta: il commissario è favorevole alla nostra spedizione e ci da immediatamente l’autorizzazione. Facciamo anche una prospezione all’ingresso, che si apre a mezz’ora di sentiero dalla strada. Un bel torrente viene inghiottito da un portale di grandi dimensioni, siamo a quasi 1000 m s.l.m, il potenziale è realmente notevole. Decidiamo di scendere a Tuxtla, fare armi e bagagli e caricare subito un campo all’entrata della cueva. Il vecchio e irriducibile toyota che da tanti anni serve la Venta (portato da Suriano e Petrignani da New York al Messico nel 2002) riesce a caricare tutto, poi in pochi giri faticosi a piedi riusciamo a trasportare i sacconi fino ad una radura a pochi metri dall’entrata.
Il posto è molto bello, un fazzoletto di foresta rimasto intatto in mezzo alle montagne di San Fernando. In particolare il campo gode dell’ombra di un gigantesco e vecchissimo albero di Matapalo. La sera, dopo aver sistemato tende e attrezzature, io, Gianni e Natalino, torniamo a Tuxtla: dobbiamo ancora sistemare alcune cose, andare all’INAH a chiarire la nostra posizione, e tornare sul Rio La Venta alla colonia Lopez Mateos, dove il giorno seguente faremo una emozionante lezione sulla speleologia a 50 ragazzi della scuola secondaria. Nel frattempo i ragazzi, nella giornata di martedì riescono ad armare la parte già conosciuta della grotta, una bella sequenza di grandi pozzi cascata (molto bagnati) che scende fino a -250 a un bel sifone. La sera di martedì ci ritroviamo di nuovo tutti uniti al Campo Puercoespin, e programmiamo il da farsi: lungo il percorso visto nella giornata ci sono moltissime finestre e gallerie da vedere, oltre che fare il rilievo della grotta.
È così che mercoledì avviene la scoperta: mentre Pierpaolo scende con la maschera per fare una prima prospezione in apnea al sifone terminale e gli altri rilevano, io e Gianni cominciamo a setacciare la grotta e già al primo pozzo troviamo una finestra che porta su un pozzo apparentemente parallelo. Alla base però non c’è traccia della vecchia via e cominciamo a scendere un bel meandro attivo interrotto da brevi saltini. In breve finiamo le corde… usciamo e recuperiamo altri 60 metri e torniamo dentro. Scendiamo altri 4 bei pozzi dai 15 ai 20 metri e arriviamo in una zona di condotte orizzontali. Prendendo una galleria fossile sbuchiamo su un canyon. Ci rendiamo conto che siamo entrati in qualcosa di realmente grosso, camminiamo verso valle ed entriamo in una forra fossile, bellissima, ne percorriamo correndo e urlando circa 400 metri fino ad una zona meravigliosamente concrezionata.
Uno sfondamento da traversare ci ferma ma la galleria dall’altra parte continua imperterrita. Siamo un po’ in panico, abbiamo pochissimo tempo, la notte e la giornata di domani, e proprio ora scopriamo tutto questo… Non possiamo fermarci. Usciamo velocemente, mentre io rientro nel ramo vecchio a chiamare tutti gli altri. Anche loro hanno trovato roba, gallerie e condotte, ma decidiamo di disarmare la vecchia via per concentrarci sulla nuova. L’entusiasmo e tale che dopo due ore di riposo al campo un gruppetto di cinque persone (io, Gianni, Pier, Carla, Giorgio) è già pronto per rientrare rilevando tutto il nuovo. Avanzando a tirate di 15-20 metri riusciamo ad arrivare in poco tempo al limite esplorativo. Il pozzetto da traversare, a un analisi più attenta si rivela un bel pozzone da almeno 50 metri, ma quello che più ci attira è la galleria, sempre più bella. Avanziamo per una cinquantina di metri fino a quando le urla di Pierpaolo ci ritornano indietro amplificate da un eco inquietante. Dietro una curva, oltre una grande colata, ci affacciamo timorosi sul nero più assoluto: un salone enorme sprofonda nella terra. È un ambiente gigantesco che proprio non ci aspettavamo. Proviamo a buttare un masso. Dopo quattordici secondi non si sente ancora il tonfo finale, ma il suono dei rimbalzi sulle pareti viene amplificato in modo inquietante… Decidiamo di chiamarlo Leviatang, e ipotizziamo una profondità di almeno cento metri ma forse molto di più…
È la notte tra mercoledì e giovedì, abbiamo pochissime ore operative, poi dovremo smontare il campo e tornare a Tuxtla. Usciamo alle 2 di notte totalemente folgorati, svegliamo la gente nelle tende, si racconta, esplode l’entusiasmo. Non si può tornare a casa con un pozzo del genere da scendere. Recuperiamo tutte le corde lunghe che abbiamo. Decidiamo di riposare solo porche ore e poi di rientrare. La mattina di giovedì, prestissimo, ci ritroviamo ad indossare per la terza volta in 24 ore le tute bagnate ed infangate. Corriamo fino al fondo. Sul baratro facciamo un breve filmato con una macchinetta fotografica che potrete vedere nel prossimo post, poi scendiamo armando, solo io e Umberto, perché non c’è tempo. Il salone si inabissa lungo un enorme colata fino ad entrare in un portale enorme dove si verticalizza. Atterro dopo 11o metri di discesa sulle rive di un grandissimo lago sifone dalle acque blu. Con Umberto giriamo per pochi minuti alla base del baratro, individuando una galleria di troppo pieno che continua inesplorata. Il tempo è scaduto, siamo sazi, alla base di uno dei pozzi più impressionanti che io abbia mai visto. Anche il mistero del rimbombo è svelato: i massi che cadono nella voragine non si sfracellano sul fondo di roccia ma vengono inghiottiti dal lago, creando un effetto sonoro degno dei peggiori incubi. Dobbiamo uscire disarmando tutto… arriveremo all’ingresso alle tre del pomeriggio, col campo già smontato da chi era rimasto fuori ad aspettarci e Mauricio e Erwin del gruppo Jaguares ad aspettarci con le auto sulla strada. Arriviamo a Tuxtla realmente stanchissimi, ma non possiamo esimerci dal festeggiare con una bella spaghettata, insieme agli speleo jaguares, la bella scoperta. Ci auguriamo che questo rinnovato entusiasmo permetta a questo gruppo speleo messicano di tornare laggiù e continuare le esplorazioni dove noi ci siamo fermati. Ci salutiamo la notte progettando una breve spedizione congiunta in aprile, per cercare di trovare la via che porta alle pareti del Canyon del Sumidero. Un sogno che forse non è così impossibile da realizzare.
Ora ci sposteremo davvero al mare, per un paio di giorni di meritato riposo.
A volte il susseguirsi degli eventi ti porta dove non avresti mai pensato. Ed è questa l’essenza dell’avventura.
Cesco