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Istruttori e allievi all'arco naturale che dà il nome al rancho (Foto Francesco Sauro)Approfitto di un breve momento di riposo tra una discesa in grotta e l’altra per raccontare delle battaglie e degli uomini – ma c’era pure qualche ragazza, mi pare – che le hanno combattute.
Circondati dall’immenso carso a coni della selva El Ocote siamo tornati pivelli della speleologia; le poche certezze conquistate in faticosi anni di turismo ipogeo nostrano vengono dissolte dalla severità del luogo. Orientamento, avvicinamento e progressione assumono significati sinistri.
Dove siamo?
Non ne ho idea.

Per l’avvicinamento, se non vuoi essere mangiato vivo, ci vuole l’abito di Baygon. Per la progressione sbatti di continuo contro muri di aria umida e calda.

Durante il corso nel sotano del Quetzal (Foto Francesco Sauro)Siamo appena tornati da un giro di rilievo topografico nella Cueva del Naranjo, mentre i due speleosub spagnoli si sono divertiti a fare i sireni nel sifone inesplorato del ramo Cariolable Segundo. Potremmo definirla una giornata di riposo e riorganizzazione in vista della traversata della Cueva del Rio La Venta, 14 chilometri di puro godimento per gli occhi e il cuore che ci aspetta domani.

I giorni passati sono stati piuttosto frenetici. Si inizia con sabato 16 all’arrivo al rancho El Arco. Le ragazze sono state subito prese da frenesia domestica e hanno iniziato a spazzare e lustrare – il lavoro meno faticoso è stato liberarsi dei cadaveri di tarantole. Nel frattempo ci si organizzava per la traversata da far fare ai ragazzi del corso di speleologia locale, una grotta di 3 chilometri che sbuca nel terreno del rancho: la Cueva del Naranjo, appunto.

Il sotano del Quetzal (Foto Francesco Sauro)Purtroppo la via da trovare si era rivelata piuttosto complicata, e al gruppo di fortunati esploratori (Celly, Greta e Giusto) toccava tornare con le pive nel sacco fuori dalla stessa entrata, un pozzo da 30 a monte del rancho. Nel frattempo Francesco aveva contattato i corsisti inseguendoli per le colonie, e organizzato una palestra di roccia per il giorno seguente.

Lunedì: mentre i ragazzi si divertivano con gli istruttori, ovvero i due spagnoli, Beba la speleo messicana assassina di trapani, Francesco e Celly, io e Giorgio ci rituffavamo nella Cueva del Naranjo per cercare dal basso il passaggio della traversata. Dopo aver vagato come ubriachi per sale e salette, aver fatto almeno due girotondi sulle concrezioni, sfiniti da caldo e dalla disidratazione, avevamo deciso di tornare indietro e provare per un’altra strada. Le nostre capacità di orientamento erano a un livello tale che abbiamo clamorosamente sbagliato strada e siamo finiti sul fiume che scende dall’ingresso alto. Come al solito il miglior amico dello speleologo non è l’astuzia ma il culo.

Foto di gruppo al fondo del Quetzal (Foto Francesco Sauro)Siamo usciti leccando l’umido dalle pareti e abbiamo raggiunto gli altri che avevano terminato la sessione di palestra con i ragazzi. Assente giustificata della giornata: Martina, che aveva iniziato una lunga discussione con Montezuma e non sarebbe stato carino interromperla.

Serata in allegria al Cinema Bernabei, che dopo aver rubato a un orfano il suo unico lenzuolo ha preparato una sala proiezioni al rancho. La Venta Production, ovviamente. Al momento della proiezione del video sul Perito Moreno molti sono svenuti alla vista del ghiaccio.
Qui la temperatura e l’umidità andrebbero processate per associazione a delinquere. E in grotta la situazione non migliora. Consola però che pur essendoci immersi in una vasca della traversata della Cueva del Naranjo non siamo morti di ipotermia nel giro di un paio di secondi, ma ci siamo piuttosto trovati a indugiare in quella piacevole frescura che risaliva le tute arroventate.

L'acqua in fondo al Quetzal (Foto Francesco Sauro)Martedì: grande giorno della traversata per i corsisti, che nel corso della notte si sono magicamente moltiplicati, e quindi abbiamo due attrezzature in meno. Nessun problema, un gruppo entra dall’alto e uno dal basso. Per quanto non brillino per abilità tecniche, i ragazzi delle colonie non si fanno problemi ad arrampicarsi e a muoversi con maggiore agilità degli istruttori, specie di quelli montezumati – il cui numero è cresciuto.

Siamo a mercoledì, e mentre Carlos e Cecilio, i due speleosub spagnoli, tentano il sifone del Sumidero del Sauce, gli altri accompagnano i ragazzi alla ‘prova del nove’ della speleologia, il pozzacchione con libera all’aperto. Il Sotano del Quetzal è una voragine di un 40 metri di larghezza per 50 di profondità che si apre in mezzo ai campi. Qui i locali, oltre a far pascolare le bestie, coltivano pinolillos, ovvero i piccoli delle zecche che hanno la buona abitudine di attaccare gli incauti – o i collezionisti come Francesco – a sciami di centinaia. Comunque, a parte fauna e flora – come ad esempio la chaya, una bellissima pianta verde che assomiglia al prezzemolo ma è urticante e fastidiosa – i corsisti hanno dimostrato di non temere né il vuoto né le pietre, e le vasche trovate sul fondo li hanno molto colpiti.

Nella Cueva del Naranjo (Foto Francesco Sauro)Al nostro ritorno, gli speleosub ci informano che il sifone è ostruito ma resta da provare quello della Cueva del Naranjo, e quindi si tira avanti. La sera veniamo intrattenuti dal totopastiglia di Greta e Martina, che nel vano tentativo di porre fine alle loro tribolazioni intestinali iniziano a proporre mix di lactobacilli, integratori al ferro, imodium e altre oscenità.

E finalmente chiudo questa dissenteria verbale con la giornata di oggi, dedicata a sifoni e rilievi. Il sifone va, Cecilio ha trovato una sala che dalle dimensioni sembra suggerire che la parte della Cueva del Naranjo in cui ci siamo mossi sia la più piccina – galleria di centinaia di metri alte 20 e più – ma di cui abbiamo comunque rifatto la poligonale e non ci pensiamo più.

Oramai Montezuma ci sta lasciando: è appena arrivato un pullman di turisti friulani a Tuxla e deve scappare. Ci lascia però altri affezionati compagni: zecche e tarantole. Poi ci sono anche gli scorpioni, che la notte Kaleb, entomologo e tra i più attivi speleo del Grupo Jaguar di Tuxtla, caccia con gli ultravioletti. Ma quelli non si vedono ancora.
Fino ad ora l’animaletto più innocuo che abbiamo incontrato è la chicharra, una cicala grande quanto un pollice che oltre a fare un casino malefico se ci passi sotto col pick-up si spaventa e ti piscia addosso.
Ecco il Chiapas, grotte meravigliose, insetti mortali, bambini bellissimi che ci corrono sopra scalzi e da qualche parte, nella selva, a pregustare carne fresca di speleo italiano, il giaguaro.

Messico e Crogole, come dice Fragi!

Giusto (Stefano Guarniero)

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